antefatto. 1

Nel 2001, dopo lunghi anni di gestazione, il ministero partoriva la riforma universitaria:

il tentativo di adeguare la formazione alle ristrutturazioni che avevano segnato il mondo del lavoro.

Il linguaggio è mutuato dal mercato e il modello organizzativo diffuso, preso in prestito dalla produzione.

Le direttive erano la carta di Bologna, lo spirito che la informava neoliberista:

l’università deve attendere alla formazione delle figure professionali richieste dal mercato del lavoro.

Gli strumenti per i nuovi obiettivi: la segmentazione e la specializzazione dei percorsi formativi.

 

La modulazione dei percorsi formativi in segmenti rigidi 3+ 2+ X eventuali corsi di master o perfezionamento, è finalizzata ad esprimere diverse competenze a diversi livelli gerarchici:

i quadri professionali intermedi, prima di pertinenza degli enti di collocamento statali o direttamente delle aziende; i tecnici specialisti; infine i professionisti qualificati.

A ogni livello formativo corrispondono diverse soglie di tassazione e modalità d’ingresso, differenziate per ogni ateneo e scelte in regime di autonomia.

I tempi di studio e assimilazione si contraggono, subordinati ai sistemi di selezione per l’accesso alle lauree specialistiche; quello che era un diritto dello studente, la libera frequenza, ora si trasforma in un dovere da verificare continuamente, sulla base del rapporto crediti per anno accademico. L’interesse non è piu l’apprendimento, ma la corsa al numero di crediti necessari per l’iscrizione al biennio di laurea specialistica.

I risultati piu evidenti sono il sacrificio sulla verifica dei contenuti didattici e l’individualizzazione dei percorsi formativi.

 

La divisione delle discipline in settori specialistici mette in discussione la natura del sapere che si trasmette all’università: il sapere diventa essenzialmente tecnico, parte di un processo produttivo, ma non in grado di comprenderlo e come tale meno convertibile nel mercato del lavoro.

La questione posta è il controllo della figura professionale, lo scarto delle eccedenze, dei saperi critici, vivi, sempre ricomponibili e riadattabili, per questo poco addomesticabili alle dinamiche di mercato.

Se sapere è potere, abbassare la qualità di questo sapere significa, per il futuro lavoratore, perdere potere.

Non è piu il sapere ad essere critico, quindi flessibile e riadattabile, ma il lavoratore a diventare ricattabile e quindi flessibile.

 

 

 

contromosse. 2

Le mobilitazioni contro i G8, e quello che rappresentano in termini di politiche liberiste, penetrano nell’università; i collettivi universitari tornano a riunirsi e discutere a livello nazionale con piu frequenza.Nell’ottobre 2001 Posse, rivista edita dalla Manifesto Libri, esce con un numero monografico di analisi sulla riforma universitaria.

Nascono i primi laboratori di autoformazione come possibili strumenti per la critica al nuovo modello universitario, critica di metodo e contenuti.

 

I laboratori di autoformazione sono progetti per l’autogestione dei percorsi formativi all’interno dei nodi irrisolti della riforma, l’idea è di utilizzare i crediti optativi per avviare processi di riappropriazione cooperativa della didattica, quindi il riconoscimento in termini di crediti di progetti di studio autogestiti.

 

il punto è quello di promuovere iniziative di autoformazione degli studenti, costruire percorsi seminariali e laboratori aperti, orizzontali, di conricerca e di comunicazione all’interno dell’università, farlo anche coinvolgendo ed interagendo con esperienze culturali e scientifiche che provengono dalla metropoli.

avviare battaglie per il finanziamento ed il riconoscimento in termini di crediti dei propri percorsi formativi. ” (Sapienza Pirata).

 

Il credito è strumento di misurazione dei tempi e come tale viene utilizzato nella definizione del debito formativo.Il riconoscimento in termini di crediti delle esperienze di autoformazione permette disuperare, con lo stesso strumento, i blocchi didattici, ritrovare lo spazio per l’iniziativa collettiva e quindi opporsi ai processi di licealizzazione e individualizzazione della didattica.

L’uso antagonista del credito pone le basi per una continuazione/evoluzione delle esperienze culturali di produzione di controsaperi, o meglio dei saperi vivi, che sfugge al ricatto dei tempi cui è sottoposto l’apprendimento all’università.

 

 

L’esperienza dei laboratori di autoformazione si inserisce nel dibattito sul nodo formazione-produzione; riconosce il lavoro qualificato solo laddove la complessità è affrontata attraverso il superamento degli steccati disciplinari, la condivisione dei saperi e la cooperazione dei cervelli, ovvero, la metaprogettualità.

 

E’ nelle aree di sovrapposizione delle discipline che si aprono nuove frontiere di ricerca, raggiungibili solo tramite autonomia di gestione e cooperazione al di fuori delle barriere disciplinari imposte; questo è il vero significato della autoformazione e l’unica possibilità di autonomia.

 

Il laboratorio di autoformazione è una smentita nei fatti dei sostenitori della specializzazione;

riconosciuta solamente come strumento di perpetuazione delle strutture di dominio negli attuali rapporti di lavoro.

 

 

 

 

esperienze del laboratorio romano. 3

E’ nell’Ateneo Roma che abbiamo avviato e maturato le nostre esperienze di autoformazione:

LABO’, laboratorio di architettura e politica, presso la facoltà di architettura di roma tre, come iniziativa del C.S.A. -Comitato Studentesco Architettura e poi le attività autoformative, prima del collettivo Sapenza Pirata a Roma 1 e poi successivamente, la nascente esperienza della LUM (Libera Università Metropolitana) all’interno dell’Atelier Occupato ESC a San Lorenzo.

 

Il Labò ha avviato due iniziative di autoformazione, il primo è stato lo studio di un archivio dell’architettura contemporanea a Palermo, pretesto per un’indagine sulla accessibilità ai saperi nella metropoli contemporanea e nella specificità del contesto palermitano.

La ricerca è stata affrontata da un collettivo metadisciplinare composto da dodici studenti di architettura di romatre, due di sociologia de la sapienza e lo studio di architettura 2TR.

Il secondo, non ancora terminato, pone la questione delle nuove forme della trasmissione dei saperi, indaga il nodo formazione-produzione e prende in esame il caso di Roma, i modelli insediativi dei tre atenei, il loro adattamento alla realtà postfordista, la relazione tra loro eil ruolo che assumono nel territorio metropolitano. (Sui contenuti integrali dei progetti si rimanda al cd in allegato, o nel sitowww.lab0.org)

 

A partire dal 2002 invece, alla Sapienza, si sono svolti diversi percorsi di autoformazione riguardanti la nuova economia della conoscenza. Questo primo ciclo è stato animato attraverso la costruzione di un seminario “nomade” che ha coinvolto nel suo svolgimento diverse facoltà (Lettere, Sociologia e Scienza della Comunicazione, Scienze Politiche, Fisica ecc.). Lo scorso novembre inoltre, all’interno degli spazi occupati di Esc, è stata attivata da studenti e ricercatori ed alcuni docenti universitari la Libera Università Metropolitana, ovvero un’esperienza che sta tentando di interfacciare, non solo diverse facoltà, ma università e territorio metropolitano, tramite un interscambio e un attraversamento continuo. La tematica dello scorso anno è stata quella dell’innovazione, quest’anno l’attenzione si concentrerà sull’analisi della Metropoli, e sullo statuto della Sovranità nello spazio globale.

 

 

L’esperienza dei laboratori nasce dalla volontà di trasformare in progetto politico l’insofferenza alle forme verticali di apprendimento e in fin dei conti sfidare l’università sul suo stesso piano, quellodella produzione e trasmissione dei saperi.

 

In questo senso, nel loro valore liberatorio e progettuale che assumono significato le iniziative fin qui portate avanti; ed è in questo senso che sono state avviate le battaglie per il loro riconoscimento.

Perché questo lavoro, cooperante e metadisciplinare, venisse riconosciuto in crediti, non all’interno del corso di un professore piu sensibile, ma alla luce del sole, nelle commissioni didattiche e nei consigli di facoltà.

Non ci bastava e non ci basta un seminario autogestito e tollerato che faccia perdere tempo sugli esami (e accumulare debiti) a chi vi partecipa, che per la sua attività verrà poi bollato come il fuoricorso della facoltà.

 

I laboratori di autoformazione devono essere all’interno del percorso formativo e da lì metterlo in discussione.

 

 

 

 

I LABORATORI DI AUTOFORMAZIONE NELLE PIEGHE DELLA RIFORMA

prime esperienze e risultati nel laboratorio romano.

di LABO’ e L.U.M.